«E’ noto a tutti che il Reddito di Cittadinanza è stato introdotto come una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, con un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari.
E’ comunque necessario dire che il provvedimento che fu varato dal governo sul Reddito di Cittadinanza non ha certamente abolito la povertà, come incautamente annunciato al balcone dai Ministri del Governo, e non ha introdotto un vero regime di Reddito di Cittadinanza come definito dalle risoluzioni europee, dalla CE e da studi e ricerche scientifiche». Così Raffaele Ariola, direttore di SciscianoNotizie.it, in seguito al via libera della manovra del Governo Meloni che prevede l’abrogazione del Reddito di Cittadinanza a partire dal 2024.
Nell’attualità, alla luce della Manovra approvata dal Governo Meloni, sembra quasi che il Reddito di Cittadinanza sia diventato un tema così fortemente ideologizzato e politicamente divisivo da dover essere almeno nominato per dichiarare come si ci schiera. Questo anche a prescindere da una adeguata conoscenza dei dati empirici e dei meccanismi di funzionamento.
Quello del Reddito è un tema non solo economico, ma anche culturale.
«Non si può pensare – sostengono i leader del Governo Meloni – che si tratti di un sussidio a vita, non è così che era stato immaginato e le modifiche, in ogni caso, riguardano solo chi ha la possibilità di trovarsi un impiego, con un passaggio che avverrà in modo tutt’altro che traumatico».
Al capolinea, dunque, 660mila percettori circa, su 2,4 milioni di cittadini raggiunti dalla misura, che sfuggono ai Centri per l’impiego. Gli attivabili avranno, quindi, a disposizione un periodo cuscinetto di otto mesi nel 2023 per trovare un lavoro, dopodiché dovranno dire addio per sempre alla card.
«Senza dubbio credo che abrogare il Reddito di Cittadinanza è un grave errore perché significa, in sostanza, fare la guerra ai poveri. Così come ribadito anche dalla Commissione europea, il reddito deve essere invece rafforzato, perché è necessario un sostegno più efficace per combattere la povertà e promuovere l’occupazione, soprattutto con la recessione alle porte» dichiara il direttore Ariola.
Famiglie in difficoltà per crisi energetica ed economica
In Italia le bollette elettriche e quelle del gas crescono a dismisura con le famiglie in drammatico affanno, la guerra è sempre più dentro l’Europa, la crisi climatica è sempre più grave e le imprese non saranno certo propense ad assumere e ad aumentare i salari, semmai il contrario.
A tutto questo aggiungiamo anche la drammatica situazione in cui versa il Mezzogiorno. L’inflazione galoppa in tutto il Paese, ma morde ancor di più laddove il potere d’acquisto delle famiglie è più basso, come nel Sud.
«E’ proprio nel Mezzogiorno che il reddito svolge un ruolo chiave. Questo alla luce della recessione economica che stiamo vivendo, soprattutto quando riesce a mitigare l’impatto sui redditi delle famiglie, prevenire un aumento della povertà e dell’esclusione sociale, promuovendo al contempo una ripresa sostenibile e inclusiva» continua il direttore di SciscianoNotizie.it.
Probabilmente è’ opportuno migliorare la ratio del Reddito di Cittadinanza, trasformandolo in reti di sicurezza sociale. Queste sarebbero fondamentali per realizzare il pieno potenziale delle transizioni verde e digitale, attraverso l’attivazione e l’aiuto alle persone ad apprendere nuove competenze in modo da trovare lavoro più facilmente.
«Credo dunque che piuttosto che abolire è necessario rinforzare il Reddito di Cittadinanza e tutte le forme di sostegno al reddito, a prescindere dalla occupabilità delle persone – dichiara Raffaele Ariola e continua – Sarebbe opportuno parlare del Reddito di Cittadinanza come di uno strumento necessario e positivo da riformare spostando l’attenzione da quello che va fatto per impedire imbrogli e nullafacenze a quello che serve per renderlo equo ed efficace. Uno strumento contro la povertà e le diseguaglianze».
Raffaele Ariola: «Il Reddito deve intercettare i veri indigenti»
È difficile comprendere perché in Italia le politiche contro la povertà abbiano da sempre suscitato diffidenze e divisioni. Negli ultimi vent’anni si sono succeduti almeno una decina di provvedimenti. Un “avanti e indietro” che non ha paralleli in Europa. Nessuna politica pubblica nasce perfetta e va periodicamente rivista sulla base dell’esperienza. Ma non si può ricominciare ogni volta da capo, lasciando di fatto il problema senza soluzione.
«Come ha mostrato fin troppo drammaticamente la pandemia, il rischio povertà è ancora molto elevato nel nostro Paese. Prima del Covid-19, quella che l’Istat chiama povertà assoluta colpiva già 4,6 milioni di persone, diventati 5,6 milioni nel corso del 2021. Un aumento massiccio, che sarebbe stato però molto superiore se non avessimo avuto, appunto, il reddito di cittadinanza. Ciò che serve oggi non è certo una sterile contrapposizione di principio, solo una buona “ricalibratura”. Il primo aspetto da migliorare è la capacità del Reddito di intercettare i veri indigenti».
«L’Istat usa a tale proposito soglie diverse fra Settentrione e Meridione. La normativa del Rc non fa invece differenza. Con il risultato che il tasso di copertura nel Nord scende dal 44% nazionale al 37%, mentre nel Sud sale al 95%» dice Ariola.
Necessario che il Reddito di Cittadinanza includa i poveri e favorisca l’inserimento lavorativo dice Raffaele Ariola
«Il secondo aspetto critico è speculare al primo: il Reddito di cittadinanza esclude molti poveri, ma finisce anche a molti “non poveri”. Non si tratta tanto di clientelismo e frodi, un po’ ci sono anche quelle, quanto piuttosto di regole mal disegnate». Vi è poi un terzo problema, che riguarda l’occupazione.
«La riforma del 2018 presentò il Reddito di Cittadinanza anche come misura di inserimento lavorativo. Così che i beneficiari “non stessero sul divano” a spese della collettività. Quella mossa ha tuttavia creato aspettative irrealistiche. Molte persone in povertà assoluta non sono inseribili, necessitano piuttosto di percorsi di inclusione sociale come premessa all’eventuale lavoro. Inoltre, i nostri servizi per l’impiego sono notoriamente poco efficienti ed efficaci, a dispetto del frettoloso reclutamento dei navigator. Solo un terzo dei beneficiari potenzialmente occupabili ha siglato il “patto di lavoro” con i centri per l’impiego. E meno della metà di questi ha effettivamente trovato un’occupazione».